I caffè

 Roma, 13/09/2022


Quando stai in ufficio il caffè è un rito anzi, il rito. Che sia caldo, freddo, lungo, corto, d’orzo o decaffeinato ci sta sempre bene come il nero in abbigliamento: sta bene su tutto. Ogni tanto un tè o addirittura una cioccolata calda; già forse sono una delle poche a cui piaccia la cioccolata della macchinetta. È dolce, piuttosto cremosa e quando voglio qualcosa di caldo o qualcosa da mangiarci insieme (inzupparci) è ideale. Però ci sono andata giù anche con le tisane o meglio, prendo l'acqua calda alla macchinetta e poi ci "ammollo" una delle mie fantastiche tisane.

In questi 22 anni di lavoro ne ho presi di caffè; la maggior parte in compagnia ma anche molti da sola; non a caso con tutti i caffè presi quando lavoravo di notte mi sono fatta venire una sorta di gastrite che, fortunatamente è stata “sistemata” con una cura e con lo stare più attenta a non prendere troppa caffeina specie se della macchinetta.

I caffè, haaaaa i caffè… quelli presi di giorno, di sera o di notte. Quelli che in vari momenti della giornata hanno ognuno un perché differente dall’altro. Ognuno con una propria storia. I migliori però sono quelli solitari; quelli che ti ritirano su, che non ti fanno parlare, stancare e spesso nemmeno pensare. Personalmente, quando ho una giornata di quelle che chiamo “no” che iniziano male già da quando monti in macchina mi "rifugio" alla macchinetta (quella più lontano dal mio ufficio) a sorseggiarmi un buon caffè (che poi tanto buono spesso non è). Sono quei momenti in cui, una volta bloccato il tuo computer stai meglio già solo a sentire il rumore delle ruote della tua sedia spostarsi da sotto la scrivania. Quel rumore di “shhhhhhh”  che insieme alle tue scarpe ti accompagna nell’alzarti dal tuo posto. Poi, in silenzio prendi il tuo telefono da sopra la scrivania ed esci dall’ufficio ed è proprio li, nel momento in cui ti chiudi la porta alle spalle che nell’allontanarti capisci di essere in pausa. Una bella pausa caffè senza (si spera) chiamate, messaggi, rotture varie.


Percorri il corridoio (in questi ultimi anni poco popolato per via della pandemia) in silenzio; le porte degli uffici sono per la maggiorparte chiuse. Cammini piano e respiri tranquillità sapendo (e sperando) di non avere nulla da fare per i prossimi dieci minuti. Arrivi nella piccola sala break, colleghi il tuo telefono e scegli lei, la bevanda magica; quella che ti toglie la pesantezza di dosso per almeno altre due ore. Quella che ti svuota nello stesso modo in cui si svuota un palloncino pieno d’aria. La selezioni e, al tuo ok lo prepara per te. 

Quei quindici secondi che ti separano dal tuo caffè sono solitamente riflessivi. Si perché io rifletto davanti a quel monitor ma non credo di essere la sola. Mi capita di trovare persone in trans o in totale assenza mentale nonché fisica fissare la macchinetta anche quando con un semplice “Biiip”  sta cercando disperatamente di dirgli: “Guarda che ho finito cretino!”.  Oppure, trovi persone indecise su cosa prendere che fissano il menù sperando che il menù scelga per loro. Poi, ci sono le comitive...

Credo che per ognuno di noi il caffè è speciale. Il mio è quello di prenderne uno in totale calma lontano dalla fretta che solitamente ho a lavoro. A volte rifletto su quanto fatto e quanto mi manca per staccare. Altre penso a quello che desidero e a quello che ho. Penso a qualche collega o addirittura ci smessaggio. La maggior parte delle volte guardo il monitor della macchinetta sperando che mi parli e mi risponda ad uno dei tanti quesiti che mi pongo tipo ad esempio: “Perché stanno assumendo gente incapace?” oppure “Perché riesco a capire e risolvere un problema in meno di un’ora ma nella stanza a fianco ce ne stanno mettendo quattro e sono in quattro?” o ancora "Chissà se riesco ad andare a correre prima che diluvi"

Con i colleghi c’è quella della mattina alle 9.00; quella in cui ci si da un buongiorno parlando del più e del meno. Una volta offro io, un’altra tu. Si parla, si ride e soprattutto, con i miei ultimi colleghi (in quanto unica donna) sono "coccolata" e sempre circondata da buonumore. Ieri proprio parlando con uno di loro dicevo che sono veramente contenta del gruppo; mi fanno stare bene nonistante tutto. mi vogliono bene e questo si percepisce. C'è poi la pausa con l'ex collega che viene a salutarti da un altro piano o che, raggiungi tu dove si parla molto di lavoro e di come vanno le cose nei vari settori. Diciamo che si spettegola un po' di più mentre si fanno due passi e magari si raggiunge un’altra sala break (che poi, sono tutte uguali). Mi concedo con gli altri solitamente un paio di pause e, non sempre di caffè. Certo alla macchinetta non è come al bar ma ogni tanto, quando siamo scarichi ce lo concediamo anche fuori in modo da poter fare due passi fatti bene. Però, tirando le conclusioni di questo capitolo posso dire che la vera e unica pausa caffè è la mia: io e la tazzina (fino a lo scorsa settimana di plastica ora di carta riciclata) in un incontro che mi verrebbe da definire praticamente “amoroso” e che ahimè purtroppo troppo breve. Lo chiamo amoroso perchè il bicchiere, una volta ritirato lo prendi e lo tieni come se fosse un caro oggetto. Stai attenta a non farlo cadere e a non "stropicciarlo".  Senti il suo calore, annusi la sua aroma e te lo assaggi piano piano.

Quando facevo le notti oltre che i tre della giornata si partiva alle 21.30 appena entrati in azienda, sempre per darci il “buongiorno” (perchè dovete sapere che io non do mai la buonasera... mi fa brutto. Per me è sempre un buongiorno) con i colleghi che smontano e quelli che entrano. Poi verso le 24.00 via nuovamente un caffè come “avviamento” alla notte. Poi c’era quello delle 03:00 che era necessario al 98% per proseguire in una maniera decente la nottata ed infine, quello delle 06:00 che ti aiutava a tenere gli occhi aperti quegli ultimi sessanta minuti prima di staccare e salutare tutti con un: "A ragà ci vediamo stanotte. Dai che è l'ultima della settimana!". “Che vitaccia!” – dicevo a suo tempo ma, non rimpiango nulla di quanto fatto perché l’ho fatto per crescere mia figlia negli anni in cui era piccola. Potevo portarla all’asilo, andarla a prendere e gestirla al meglio perché tanto quando io uscivo di casa lei dormiva e, quando io rientravo anche. In pratica si addormentava e si risvegliava sempre e comunque con me. Le giornate erano completamente nostre in ogni modo.

Riguardo adesso che dire: i caffè qui in ufficio sono belli specie se presi come li prendo io. Quei cinque minuti di relax che mi concedo valgono quasi spesso la lunga giornata lavorativa. C’è chi li considera un solo passatempo o chi al contrario una “ragione di vita” ma per me, sono il silenzio e lo starmene con Laura fuori dall’ufficio, dalle mail e dai rompiscatole. Quel silenzio che ogni tanto cerco tra mille rumori e che non sempre trovo; quello che serve alla mia testa per staccare un momento; per "galleggiare" tra me e me senza pensare ad altro. Al massimo penso a mia figlia o alla corsa...

E poi ci sono quei caffè che io chiamo "tristi" in quanto nostalgici. Quelli in cui vorresti tornare indietro di qualche anno, mese o giorno. Quelli in cui ricordi un momento particolare con uno o più collleghi e, che pagheresti oro per riviverlo anche solo se per poco tempo. Quelli bevuti solo per il gusto di berli in compagnia oppure, perchè presi con loro. Quelli scelti solo perchè sapevi che sarebbero stati parte dei  cinque minuti più belli della giornata.

Ecco, questi sono i miei caffè...

Passo e chiudo.

 

 

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